Il secolo ventesimo e soprattutto gli ultimi decenni appaiono marcatamente caratterizzati dalla presenza di fenomeni criminali a carattere transnazionale.
Non che il passato ne fosse immune: basta ricordare la pirateria, il commercio degli schiavi dei secoli scorsi ecc. Tuttavia è innegabile che - ed il paradosso è solo apparente - il processo economico-sociale, il quale, pur con differenze assai sensibili, ha in questa seconda metà del secolo investito tutti o quasi tutti gli Stati, abbia congiuntamente fatto da volano di trasmissione al diffondersi dei fenomeni criminali transnazionali e specialmente della criminalità organizzata, che in effetti tutti li sostanzia ed orienta.
E proprio la crescente virulenza della criminalità organizzata, particolarmente nell'ultimo quindicennio, ha posto a più riprese l'Italia nella necessità di dover elaborare forme di intervento sempre più incisive e strumenti di maggiore efficacia, per fronteggiare gli attacchi e le insidie provenienti con impressionante progressione dalle organizzazioni mafiose e di stampo mafioso.
La violenza dell'azione di tali consorterie criminali, le loro dimensioni, il volume impressionante dei flussi di denaro ricavati dalle attività delittuose, la dimostrata capacità di corrompere, intimidire, coartare, inquinare a tutti i livelli hanno infine convinto del mortale pericolo ormai rappresentato dal fenomeno non solo per l'ordinato svolgersi della vita economico-sociale della collettività, ma anche, se non soprattutto, per la stessa indipendenza ed autonomia del funzionamento delle Istituzioni.
Si è così inquadrato finalmente il fenomeno del crimine organizzato per quello che è effettivamente alle soglie del Duemila: un vero e proprio cancro, che intacca profondamente il tessuto economico-sociale e produce metastasi in grado di minacciare da vicino il cuore dello Stato. E si è faticosamente messa a punto una strategia di intervento articolata su più versanti e volta a contrastare in termini di reale efficacia le associazioni criminali.
Un compito fattosi tanto difficile è, all'evidenza, ancora lungi dall'essere compiutamente assolto e d'altronde nessuno stato, per quanto vigile ed attento al problema, è, purtroppo, riuscito finora ad affrontarlo in maniera del tutto convincente ed adeguata.
Nondimeno l'esperienza italiana degli ultimi anni ha fatto registrare una serie di importanti passi in avanti e, talvolta, di veri e propri successi, sicché può essere utile e produttivo individuare ed analizzare i profili più qualificanti delle innovazioni che sono state introdotte e che appaiono aver dato buon esito: tanto più può rilevarsi utile siffatta disamina in un convegno avente per oggetto i fenomeni criminali a diffusione transnazionale. Ed infatti, essendo quello della criminalità organizzata un fenomeno dalle connotazioni - a livello di operatività e di interrelazioni quando non di strutture stesse - squisitamente transnazionali, l'esigenza di una strategia dalle linee generali comuni a tutti gli stati interessati si delinea, per così dire, "in re ipsa" e tale da non richiedere particolari discorsi.
Se dunque un'esigenza siffatta può e deve darsi ampiamente per scontata, ne consegue che tutti i componenti della comunità internazionale possono e devono mutuare dalle migliori e più positive esperienze di ciascuno le linee-guida e gli strumenti stessi che assicurino omogeneità e continuità negli interventi, razionalità e sintonia nell'approntamento e nell'utilizzo delle risorse, sinergia massima ed osmosi incessante nel costante affinamento della filosofia ispiratrice dell'azione comune: autentico respiro internazionale, in una parola, per l'attività di ciascuno stato diretta a contrastare efficacemente ed a battere una criminalità organizzata che del respiro internazionale ha fatto la sua arma vincente.
Nell'ottica fin qui delineata assume, così, un significato preciso la rassegna - pur in questa sede necessariamente limitata alle linee generali e priva di ogni intento di esaustività - delle più interessanti innovazioni (intervenute a più riprese nel corso di questi anni) a livello di legislazione penale - sostanziale e processuale - e di strutture investigative, sulla base della più recente esperienza italiana.
A tal proposito occorre subito rilevare che il reato di associazione delinquenziale di tipo mafioso, introdotto dal legislatore italiano più di un decennio addietro ed affiancato alla tradizionale fattispecie di generica associazione per delinquere, si è rivelato strumento di indubbia utilità per l'operatore giudiziario alle prese con le organizzazioni criminali. E l'articolazione di tale previsione normativa, con specifico riguardo alla valenza dei vincoli associativi, alle condizioni di omertà, alla finalizzazione verso il controllo di attività economiche e in specie di appalti pubblici, alle interferenze dirette ad ostacolare la libera espressione del voto nelle consultazioni elettorali, ha rappresentato certamente un indispensabile adeguamento legislativo alle caratteristiche - quanto a fisionomia ed operatività - assunte nella loro evoluzione dalle organizzazioni criminali.
L'esperienza giudiziaria dell'ultimo decennio - ma non solo di esso - si è incaricata di dimostrare come la fattispecie del reato associativo specifico costituisca vero e proprio punto di riferimento normativo, assolutamente necessario, nel contesto della lotta alla criminalità organizzata. Né sembra ragionevolmente sostenibile che il potenziamento dell'azione della comunità internazionale in tale contesto possa prescindere dalla previsione nei codici penali dei vari paesi dal reato di associazione a delinquere di tipo mafioso, possibilmente in termini simili, se non identici, a quelli della fattispecie inserita nel codice penale italiano. L'ideale - cui le varie legislazioni dovrebbero, se non uniformarsi, quanto meno avvicinarsi il più possibile - sarebbe quello di un modello unico: una fattispecie di reato quanto mai completa nelle sue articolazioni, frutto delle esperienze già maturate, delle quali quella italiana rappresenta certo un momento particolarmente significativo, ancorché - com'è noto - non unico, dal momento che altre legislazioni penali, per buona ventura già conoscono il reato di associazione criminale (si pensi, ad esempio, al codice penale francese).
Fra le nuove figure di reato comparse nella legislazione italiana vi è il delitto di scambio elettorale politico-mafioso, che estende la pena stabilita per i partecipi dell'associazione di tipo mafioso anche a chi ottiene la promessa di voti - nei termini ipotizzati dalla norma che prevede e sanziona tale associazione criminosa - in cambio della erogazione di denaro: realtà che proprio le indagini in tema di criminalità organizzata si erano incaricate di inquadrare e di segnalare all'attenzione come uno dei più insidiosi terreni d'intervento delle associazioni di tipo mafioso.
D'interesse assai cospicuo si presenta l'evoluzione normativa che ha dapprima introdotto nel sistema penale italiano il delitto di riciclaggio e ne ha di recente modificato l'iniziale previsione strutturale. Siffatta evoluzione merita di essere sinteticamente segnalata. Resosi conto dell'esigenza di sanzionare come gravemente delittuosa un'attività rivelatasi strettamente funzionale all'operare delle organizzazioni criminali - ed importantissima per le stesse, in quanto diretta al cosiddetto "lavaggio del denaro sporco" - il legislatore italiano ha in un primo momento così inquadrato la figura del riciclatore: colui che sostituisce denaro, beni ed altre utilità provenienti dai delitti di rapina aggravata, estorsione aggravata, sequestro di persone a scopo di estorsione, produzione e traffico di sostanze stupefacenti con denaro, altri beni ed altre utilità ovvero ostacola l'identificazione della loro provenienza dai delitti suddetti. Successivamente, a distanza di appena qualche anno e sulla scorta delle esperienze investigative e giudiziarie delineantisi, la struttura del reato di riciclaggio è stata sensibilmente modificata, riconducendo al delitto "de quo" non solo i proventi degli specifici reati sopra menzionati, bensì quelli (denaro, beni o altre utilità) di qualsivoglia delitto non colposo. La modifica risulta particolarmente significativa ed il reato di riciclaggio, come attualmente previsto e sanzionato dal codice penale italiano, appare meritevole di approfondita attenzione, configurandosi come strumento di notevole efficacia nella lotta alla criminalità organizzata.
Evoluzione del tutto parallela ha avuto un'altra delle nuove figure di reato introdotte dalla legislazione italiana sulla scorta delle esperienze fatte nelle indagini in materia di crimine organizzato. Si tratta del delitto di impiego di denaro, beni o utilità di provenienza illecita: delitto di cui risponde chiunque, al di fuori del caso di concorso in ricettazione o in riciclaggio, impieghi in attività economiche o finanziarie denaro, beni o altre utilità provenienti da delitto.
Uno dei settori nei quali la criminalità organizzata è apparsa ultimamente operare con crescente pervasività risulta quello del prestito di denaro o di altra cosa mobile dietro corrispettivo di interessi o di altri vantaggi usurari. Il fenomeno ha assunto in Italia, con le connotazioni richiamate, dimensioni allarmanti, tali da richiedere interventi normativi urgenti propri negli ultimissimi tempi e da esigere, verosimilmente, specifica attenzione per lo studio di un ulteriore affinamento legislativo, via via più adeguato alla poliedrica e mutevole realtà quale gradualmente va disvelandosi. Appare necessario, peraltro, che tutti gli stati alle prese con forme di criminalità organizzata particolarmente agguerrite e radicate nel territorio si facciano carico, adottando gli opportuni strumenti normativi ed investigativi, di inquadrarne ed approfondirne i livelli di operatività nel settore dell'attività usuraria, che potrebbe rivelarsi terreno d'elezione delle associazioni delinquenziali. In tale ottica è opportuno avere presente che nella legislazione italiana compare, già da qualche anno, il delitto di usura impropria, sostanziantesi nel procurarsi vantaggi usurari approfittando o comunque operando in presenza di condizioni di difficoltà economica o finanziaria di persona che svolge un'attività imprenditoriale o professionale. Sono talune delle nuove - ma verosimilmente solo nel senso che da molto tempo si è in grado di apprezzarne la valenza o lo spessore - forme operative della criminalità organizzata, che richiedono il massimo dell'attenzione e della capacità di fare buon governo delle esperienze già acquisite.
Prima di passare alla focalizzazione delle più incisive innovazioni realizzate in tempi recenti in Italia nel settore del diritto processuale penale e delle investigazioni, è opportuno fare un pur brevissimo accenno, fra le nuove fattispecie criminose, al reato di trasferimento fraudolento e possesso ingiustificato di valori, istituito, al pari della già menzionata usura impropria, con la legge n.356 del 1992. Analogo cenno appaiono meritare gli interventi normativi che hanno introdotto particolari adempimenti e incombenze a carico di determinati operatori professionali. Così, qualora nel corso di un'operazione di trasferimento fraudolento e possesso ingiustificato di valori, istituito, al pari della già menzionata usura impropria, con la legge n.356 del 1992. Analogo cenno appaiono meritare gli interventi normativi che hanno introdotto particolari adempimenti ed incombenti a carico di determinati operatori professionali. Così, qualora nel corso di un'operazione di trasferimento di valuta sorga il sospetto che il denaro o i beni possano provenire da attività di riciclaggio, il funzionario di banca che compie la predetta operazione ha un obbligo di segnalazione.
L'accenno appena delineato offre lo spunto per qualche pur breve considerazione in materia di ausilio e supporto che possono e devono ragionevolmente venire, nella lotta alla criminalità organizzata, da talune categorie professionali. Non può e non deve sfuggire all'attenzione, infatti, che le banche, le società finanziarie, gli organismi di controllo delle operazioni di Borsa - limitando la citazione solo alle categorie di più immediata conoscenza - possono costituire preziosissimi punti di riferimento ed erogatori di "input" assai importanti nel contesto dell'azione di contrasto alle associazioni criminali. Non sfugge, del pari, la difficoltà di ottenere una efficace e qualificata collaborazione in tale delicatissimo settore, posto che sono in gioco interessi economici imponenti. Nondimeno occorre convincersi che non si può prescindere dall'apporto in questione e che, per conseguirlo, non sono sufficienti le dichiarazioni di intenti, essendo necessario promuovere una vera e propria "cultura nuova" negli operatori, tale da consentire di superare le barriere del singolo settore e financo del singolo stato: una nuova cultura, sulla base della quale si capisca finalmente che la finanza tossica è tale non solo perché intossicata ma anche perché intossicante e che, in ultima analisi, il quadro economico-finanziario internazionale di oggi presenta connotazioni tali da rendere agevole il trasferimento delle tossine di un sistema o di un singolo organismo da uno stato all'altro. Indubbiamente diversi passi in avanti sono stati fatti, attraverso l'introduzione in talune legislazioni di obblighi come quello prima richiamato e di altri similari; la stessa convenzione di Strasburgo dell'8 dicembre 1990 in tema di riciclaggio rappresenta un importante progresso nella direzione indicata. Tuttavia il più resta ancora da fare e rappresenta uno dei punti più qualificanti dell'opera di apprestamento di sinergie che la comunità internazionale è chiamata a svolgere: è proprio questo, infatti, il terreno che può dare i frutti più cospicui e significativi in tema di cooperazione internazionale. Il tema è di interesse straordinario e tale da richiedere un approfondimento sistematico ed uno sforzo poderoso da parte di tutti. I sistemi e gli ordinamenti bancari, societari e finanziari dei singoli stati devono farsi carico dell'indilazionabile esigenza di dotarsi di strumenti comuni idonei a scongiurare il rischio - che sempre più spesso è cruda realtà - di essere utilizzati dalla criminalità organizzata per i propri scopi: il rischio di trasformarsi da soggetti di ordinato sviluppo dell'economia e della finanza in moltiplicatori dei profitti del crimine organizzato.
Sul versante del diritto processuale penale il legislatore italiano ha introdotto una serie di norme, che valgono ad adeguare e commisurare la gestione del procedimento e del processo in ragione delle peculiarità della criminalità organizzata. In tale ottica sono stati compiuti interventi in materia di custodia cautelare, rendendo obbligatoria la custodia in carcere quando si procede per i reati tipici della criminalità organizzata, sempreché ovviamente sussistano gravi indizi di colpevolezza. Operando all'insegna della medesima ottica, si sono introdotte modifiche nella disciplina riguardante i termini massimi delle indagini preliminari e le proroghe degli stessi; si è potenziata l'attività di indagine, prevedendo in capo alla Polizia giudiziaria ed al Pubblico Ministero maggiori attribuzioni investigative; si sono stabilite per il giudizio norme dirette ad agevolare l'acquisizione in dibattimento di risultanze di attività esperite in diverso processo; si è modificato il regime delle contestazioni; si sono realizzati reiterati interventi normativi in materia di misure cautelari patrimoniali, al fine di incidere specificamente e tempestivamente sulla disponibilità di cospicue risorse economiche riconducibili alla criminalità organizzata.
Quanto esemplificativamente e sinteticamente appena delineato vale a dare una prima misura dell'intento del legislatore italiano di calibrare il processo penale per fatti di criminalità organizzata - avendo cura di evitare ogni stravolgimento e di non intaccare i principi processualistici generali che hanno ispirato il codice vigente - in funzione delle specificità e delle particolari esigenze che decenni di esperienze si sono incaricati di volta in volta di far emergere e di segnalare.
Si è dunque delineato, in materia di criminalità organizzata, un orientamento del legislatore italiano verso un maggior rigore processuale, per così dire. E siffatto orientamento ha trovato significativa attuazione nella predisposizione di una norma - l'art. 14 bis dell'ordinamento penitenziario - che stabilisce uno specifico e differenziato regime carcerario nei confronti di detenuti per fatti di criminalità di tipo mafioso. La "ratio" dell'intervento legislativo è costituita non già dalla scelta di imporre una maggiore severità fine a se stessa, bensì dall'esigenza di ostacolare e vanificare l'operatività dei vincoli associativi e, in ultima analisi, delle stesse organizzazioni criminali financo all'interno e dall'interno degli istituti di detenzione.
La norma si sta rivelando assai utile strumento nella lotta alla criminalità organizzata e la crescente, manifesta insofferenza ed ostilità dei detenuti che vi sono sottoposti rappresenta un eloquente elemento di conferma di tale valutazione.
La disamina delle più significative innovazioni normative nella materia in esame non può prescindere - e deve anzi sottolineare il ruolo di straordinaria importanza - dall'avvenuta introduzione nell'ordinamento penale italiano di norme cosiddette premiali, riguardanti il trattamento sanzionatorio di coloro che decidono di collaborare attivamente con la giustizia. In particolare, chi, dopo attiva militanza nelle consorterie criminali di stampo mafioso, decida di collaborare attivamente con la giustizia, confessando i crimini commessi e fornendo concrete e riscontrabili indicazioni utili alla prova della colpevolezza di terzi in ordine a fatti di criminalità ed alla ricerca di latitanti, ha la possibilità di fruire di rilevanti riduzioni della pena in sede processuale e di espiare la condanna in stato di affidamento in prova o in altro regime alternativo, indipendentemente dai limiti di legge esistenti in materia. E', inoltre, prevista l'adozione di idonee misure - fra le quali il cambio di identità - di tutela nei confronti del collaboratore di giustizia e dei suoi congiunti, nonché la prestazione di assistenza economica, ove ne ricorrano le condizioni.
Anche - se non soprattutto - in virtù della cosiddetta legislazione premiale appena richiamata, gli investigatori italiani dispongono attualmente di quasi un migliaio di collaboratori di giustizia: le confessioni ed i patrimoni di conoscenze provenienti dagli stessi hanno consentito di sferrare durissimi colpi alle organizzazioni criminali.
In proposito, non è fuor di luogo rammentare che, allorché la giustizia italiana si trovò a doversi misurare con la lunga e sanguinosa stagione - durata diversi anni - del terrorismo, ricavò un contributo determinante dai collaboratori di giustizia. Quel terrorismo - che, com'è noto, fu completamente battuto - era indubbiamente fenomeno assai diverso, per plurimi profili, dall'odierna criminalità organizzata. Nondimeno le assai preziose esperienze vincenti acquisite su quel versante presentano non pochi aspetti di grande interesse anche per la lotta alla criminalità organizzata. Ed invero i reati associativi, la legislazione premiale, il contributo dei collaboratori di giustizia sono stati elementi importantissimi dell'azione che portò alla sconfitta del terrorismo in Italia e si stanno rivelando strumenti di pari importanza nella lotta alla criminalità organizzata, che vive oggi una fase assai promettente e ricca di iniziative e di risultati.
Il quadro dei più importanti strumenti adottati dal legislatore italiano nell'attuazione di una strategia diretta a potenziare la lotta alla criminalità organizzata presenta, infine, una profonda e recente innovazione con riferimento all'articolazione ed all'organizzazione degli uffici del Pubblico Ministero.
La strutturazione verticistica delle organizzazioni criminali mafiose e di stampo mafioso - il riferimento più immediato è quello alla siciliana "cosa nostra" - unitamente alla articolazione in sodalizi (o "famiglie") ben radicati e caratterizzati territorialmente ed ai ramificati rapporti di affari criminali intercorrenti fra gli stessi, ha, a più riprese, posto il problema di un approccio unitario al fenomeno, scevro da frammentazioni e visioni parcellizzate. L'esperienza si è incaricata di dimostrare che un eccessivo frazionamento tra tutti gli uffici del Pubblico Ministero della competenza a trattare le inchieste sui crimini delle organizzazioni di stampo mafioso finisce col costruire un ostacolo alla migliore conoscenza delle reali dimensioni del fenomeno criminale, delle sue ramificazioni, sfere di influenza, modalità operative: finisce, in sostanza, con l'influire negativamente sulla qualità e sull'efficacia dell'azione dell'Autorità inquirente.
Siffatto stato di cose è stato all'origine di una modifica dell'organizzazione degli uffici del Pubblico Ministero, imperniata sull'istituzione delle Direzioni Distrettuali Antimafia e della Direzione Nazionale Antimafia.
In particolare, presso le Procure della Repubblica delle città capoluogo di distretto di Corte d'Appello sono stati organizzati appositi uffici del Pubblico Ministero - appunto le Direzioni Distrettuali Antimafia - la cosiddetta Superprocura, fortemente voluta dal mai troppo compianto Magistrato Giovanni Falcone - che costituisce specifico punto di riferimento per l'opportuno raccordo e collegamento degli uffici territoriali. In particolare, il Procuratore Nazionale Antimafia - che svolge le proprie funzioni valendosi di venti Sostituti Procuratori Nazionali o che dispone della Direzione Investigativa Antimafia, specializzato corpo di polizia interforze - ha poteri di coordinamento ed impulso dell'attività delle Direzioni Distrettuali Antimafia e dunque dell'intero complesso degli uffici del Pubblico Ministero che svolgono tutte le indagini in materia di criminalità organizzata. Fra le funzioni del Procuratore Nazionale vi è anche quella di curare la creazione - allo stato in avanzata fase di attuazione - di una completa banca dati centrale, collegata con le Direzioni Distrettuali Antimafia in modo da assicurare in tempo reale l'accesso degli operatori interessati al patrimonio di conoscenze disponibili sul piano nazionale.
La nuova organizzazione degli uffici inquirenti e, in particolare, la creazione di nutriti gruppi di Pubblici Ministeri - distribuiti sull'intero territorio nazionale e sistematicamente collegati e coordinati fra di loro attraverso il nucleo operante a livello centrale - provvisti di alta professionalità e di vasta esperienza nella materia della criminalità organizzata è indubbiamente una delle cause prime dell'attuale congiuntura favorevole nella lotta alla mafia ed ai consimili sodalizi criminali. In particolare, un notevolissimo beneficio in tale direzione è scaturito dal fatto che un cospicuo numero di magistrati inquirenti si dedica con caratteri di sistematicità e senza soluzione di continuità - tendenzialmente in via esclusiva - alle investigazioni relative al crimine organizzato. E l'opera della Procura Nazionale, finalizzata al coordinamento ed all'impulso, consente la razionalizzazione nell'utilizzo delle risorse e, soprattutto, assicura quell'approccio unitario ed unificante, del quale tante volte in passato si è avvertita drammaticamente la mancanza.
Un concreto esempio, assai significativo, dell'importanza di un approccio siffatto è rappresentato dall'andamento delle indagini sui fatti di strage avvenuti in diverse città d'Italia ed in tempi diversi negli ultimi anni: dal collegamento investigativo fra le Direzioni Distrettuali Antimafia, impegnate nelle indagini e dal costante coordinamento dell'attività delle stesse ad opera della Direzione Nazionale Antimafia, sono finora scaturiti importanti risultati sul fronte di una approfondita intelligenza della genesi dei gravissimi reati in questione e di una adeguata individuazione dei responsabili degli stessi.
A proposito della Procura Nazionale Antimafia, è da osservare che tale ufficio, per la peculiarità delle funzioni, l'agilità delle strutture e la centralità del ruolo, si presta a costituire l'ideale interlocutore e punto di riferimento per l'attività degli uffici ed organi degli altri Stati aventi caratteristiche similari o in qualche misura assimilabili: ciò, nell'ottica della istituzione di uno stabile sistema, finalizzato allo scambio sul piano internazionale in tempo reale - evidentemente nel pieno rispetto degli ordinamenti dei singoli stati - delle informazioni di carattere investigativo e giudiziario aventi una specifica valenza trasnazionale. E per vero le indicazioni provenienti dalle prime esperienze fatte al riguardo appaiono decisamente incoraggianti nella direzione sopra delineata.
Anche con riferimento a tale prospettiva, peraltro, può essere utile qualche accenno, per linee generali, all'attività fin qui svolta dall'Ufficio che ho l'onore e l'onere di dirigere.
Dopo l'inevitabile rodaggio iniziale - reso ovviamente più complesso dall'assoluta novità culturale dell'ufficio nel panorama delle strutture giudiziarie italiane - la Procura Nazionale Antimafia, giunta al terzo anno di vita, ha svolto con crescente incisività il proprio ruolo nella strategia della lotta alla criminalità organizzata, divenendo effettivo centro di coordinamento e di impulso volto a sviluppare ed affinare, aggregandole ed estendendole all'intero territorio nazionale, le preziose esperienze specifiche messe a punto all'interno delle diverse realtà geografiche dagli uffici del Pubblico Ministero.
Limitando, per evidenti ragioni, ad un semplice accenno il discorso riguardante l'imponente opera finalizzata alla costituzione di una colossale e poliedrica banca dati, destinata a rappresentare negli anni a venire uno strumento indispensabile per gli operatori del settore, può essere utile segnalare all'attenzione la specifica attività svolta sul territorio dalla Procura Nazionale.
Il ricorso allo strumento di flessibili e calibrate applicazioni presso le Direzioni Distrettuali Antimafia più impegnate nella lotta alla criminalità mafiosa ha fatto sì che la Procura Nazionale fosse direttamente presente con i propri magistrati nelle Procure alle prese con le maggiori inchieste italiane sul crimine organizzato. Così è avvenuto e continua ad avvenire sistematicamente in Sicilia, a Caltanissetta, Palermo, Catania, Messina, ed in Calabria, a Reggio ed a Catanzaro. Analoghi importanti apporti diretti la Procura Nazionale ha fornito e seguita a fornire ai capoluoghi delle altre due regioni interessate da forme endemiche di criminalità organizzata, Napoli e Bari.
Tali applicazioni sul territorio dei magistrati della Procura Nazionale lungi dal risolversi in un puro e semplice rafforzamento delle Procure Distrettuali - sono state calibrate in modo tale da sostanziare e potenziare l'esercizio delle funzioni di impulso previste dal legislatore in capo al Procuratore Nazionale al fine di assicurare la completezza e tempestività delle investigazioni nell'azione di contrasto alla mafia, alla camorra, alla 'ndrangheta, al crimine organizzato. Sono valse congiuntamente ad agevolare e valorizzare il processo di osmosi continua fra Procure Distrettuali e Procura Nazionale Antimafia, che rappresenta condizione ineludibile per rendere effettivo il coordinamento delle attività di indagine.
Questa funzione di coordinamento, che costituisce prerogativa fondamentale del Procuratore Nazionale Antimafia, ha potuto articolarsi e dispiegarsi sull'intero territorio nazionale, consentendo, fra gli altri risultati la frequente risoluzione "in radice" di casi di divergenza fra Procure Distrettuali prima che si traducessero in formali contrasti ex art. 54 e segg. c.p.p., nonché la realizzazione di un costante collegamento investigativo, laddove la situazione lo richiedeva.
Lo strumento del colloquio investigativo è stato frequentemente utilizzato dalla Procura Nazionale Antimafia nell'ottica di fornire impulso costante ed omogeneo alle investigazioni aventi respiro e spessore nazionale. La strategia che ha ispirato tale utilizzo ha lasciato e riservato - ovviamente con il coordinamento di competenza - all'attività esclusiva delle singole Procure Distrettuali, nel contesto delle rispettive autonomie operative, tutti i casi surrelabili a specifiche realtà geografiche ed a singoli, ancorché complessi, procedimenti penali. La Procura Nazionale ha provveduto a coltivare direttamente i casi aventi valenza nazionale ed implicazioni multidistrettuali. Articolati in tale ottica, i colloqui investigativi espletati dai Sostituti Procuratori Nazionali hanno per la gran parte consentito di individuare ed acquisire rilevanti spunti investigativi, tempestivamente segnalati alle varie Procure Distrettuali.
Uno dei settori nei quali maggiormente si è dispiegato l'impegno della Procura Nazionale Antimafia è quello relativo al fenomeno del riciclaggio, in ordine al quale sono state effettuate articolate ricerche e tenute numerose riunioni multidistrettuali; sono stati individuati ed approfonditi specifici procedimenti penali contenenti elementi e spunti suscettibili di utili sviluppi in tale direzione; sono state realizzate applicazioni "ad hoc" mirate di Sostituti Procuratori Nazionali; è stato avviato il progetto di creare, sulla base degli strumenti processuali ed ordinamentali previsti dalla vigente normativa, pool interdistrettuali in grado di valorizzare ed approfondire, nella strategia complessiva di contrasto al fenomeno del riciclaggio, quei dati processuali insufficientemente significativi sul versante del singolo procedimento ed invece utilmente coltivabili a livello pluridistrettuale e nazionale.
Nel contesto dell'attività finalizzata a realizzare un ulteriore salto di qualità della lotta alla criminalità organizzata ed al fenomeno del riciclaggio si inserisce l'intenso lavoro svolto dalla Procura Nazionale Antimafia per ottenere più elevati livelli e nuove forme di collaborazione internazionale, specialmente da parte dei paesi dell'Est europeo. Sul fronte del potenziamento della cooperazione internazionale la Procura Nazionale si è impegnata in più direzioni, operando direttamente, a mezzo di un Sostituto Procuratore Nazionale all'uopo designato, nel Gruppo di Lavoro e di Studio dei temi oggetto della Conferenza Mondiale O.N.U. in materia di criminalità organizzata transnazionale tenutasi a Napoli lo scorso novembre, promuovendo incontri bilaterali con operatori di vari stati (Romania, Paesi Baltici, Slovacchia e così via), individuando, focalizzando e segnalando settori meritevoli di attenzione congiunta e di sinergie supernazionali in quanto oggetto di specifici interessi della criminalità organizzata transnazionale.
Nello spirito sopra delineato, di particolare interesse si presenta il fatto che un Magistrato della Procura Generale presso la Suprema Corte di Romania abbia - nel contesto degli scambi giuridico-culturali e professionali esistenti fra i due paesi e regolati da apposite convenzioni - richiesto ed ottenuto di poter svolgere presso la Procura Nazionale Antimafia lo stage di perfezionamento professionale assegnatogli in Italia; ciò, nell'ottica di avviare e realizzare nel proprio paese un complesso di strutture - legislative, investigative, ecc. - di contrasto alla criminalità organizzata, mutuate dall'esperienza italiana. La prima fase di tale stage, svoltasi con piena soddisfazione dal collega straniero, è terminata lo scorso novembre.
I limiti propri di questa sede portano a contenere il discorso nei termini fin qui preposti, che sono all'evidenza ben lungi dal poter esaurire l'argomento. E' doveroso peraltro sottolineare conclusivamente che i complessivi risultati conseguiti e le preziose esperienze maturate in questo iniziale biennio di operatività rendono concreta la prospettiva di raggiungere straordinari traguardi, che appena qualche anno fa apparivano utopistici, sul fronte della lotta alla criminalità organizzata. Occorrerà però insistere con tenacia, costanza e professionalità sulla strada intrapresa, senza cedimenti di sorta, cali di tensione morale, defezioni di alcun genere.
Deve, in particolare, essere chiaro che i tentennamenti, le perplessità, l'appannamento - e, peggio, la mancanza - di certezze e di criteri precisi e rigorosi possono tradursi in armi micidiali nella mani del crimine organizzato.
In rapida sintesi riepilogativa sull'argomento, le linee-guida più significative estrapolabili dalle complesse esperienze italiane in materia di lotta alla criminalità organizzata possono schematizzarsi nei seguenti termini:
- ricorso del legislatore alla figura dei reati associativi specifici, la cui tipizzazione va costantemente affinata in funzione delle crescenti acquisizioni conoscitive in tema di associazioni criminose;
- introduzione di nuove fattispecie di reato - prima fra tutte quella del riciclaggio - meglio rispondenti alla più recente realtà operativa del crimine organizzato, quale risulta focalizzata dalle ultime indagini al riguardo;
- adeguamento del processo penale, in tema di criminalità organizzata, alla peculiarità delle consorterie di stampo mafioso ed armonizzazione - per quanto possibile - delle norme processuali che regolano la materia nei vari ordinamenti;
- rivisitazione della materia dei reati societari, bancari, finanziari ed individuazione, in tema di criminalità economica, di strumenti normativi idonei a contrastare l'operatività dei sodalizi di stampo mafioso nel settore;
- istituzione di una adeguata - possibilmente con linee generali omogenee a livello internazionale - "legislazione premiale" in favore dei collaboratori di giustizia, con connotazioni tali da incentivare al massimo tale collaborazione;
- individuazione dei nuovi settori di operatività della criminalità organizzata (come, ad esempio, quello del traffico di materiali strategici e sostanze nucleari, dell'organizzazione di imponenti flussi di immigrazione clandestina e cosi via), e delle nuove forme di aggregazione ed espressione della stessa nei paesi caratterizzati da importanti mutamenti politico-economico-sociali (Est europeo, Area caraibica, Africa, Sudamerica);
- creazione di strutture giudiziarie inquirenti - in specie uffici del Pubblico Ministero - altamente specializzate, adeguatamente coordinate e destinate, in via sistematica ed esclusiva, alle indagini in materia di criminalità organizzata;
- promozione di uno stabile sistema - imperniato su uffici centrali a competenza nazionale del tipo della Procura Nazionale Antimafia italiana - finalizzato allo scambio internazionale in tempo reale di informazioni di carattere investigativo-giudiziario aventi una specifica valenza transnazionale.
Le sopra delineate - e non certo esaustive - linee-guida costituiscono, come già s'è inteso sottolineare, il portato dell'esperienza fatta sul campo dall'Italia, spesso a prezzo del sangue dei suoi magistrati e dei suoi investigatori più impegnati nella lotta alla criminalità organizzata. E' certo necessario il consapevole, multiforme, non limitato apporto dei tanti altri paesi interessati dal fenomeno, per trasfondere le singole esperienze nazionali in un protocollo operativo valido ed utile per tutti, apprestando strumenti comuni ed omogenei, in grado di consentire una risposta davvero chiara ed efficace, se non definitiva, al bisogno di giustizia che la troppo prolungata situazione di emergenza rende, a tutte le latitudini, sempre più pressante.
Non si può completare alcun discorso di criminalità organizzata senza necessariamente soffermare l'attenzione sul problema della corruzione, giacché fra i due nefasti fenomeni vi sono più interrelazioni e contiguità di quante si sarebbe portati a ritenere.
Gli ultimi anni si sono incaricati di conclamare una realtà assai amara, che è ormai sotto gli occhi di tutti. Il fenomeno della corruzione, che poteva sembrare circoscritto alle società più arretrate, agli Stati afflitti da cronici problemi di sottosviluppo, si è rivelato diffusamente presente nelle società moderne. Stati di sicura vocazione democratica, di antica tradizione culturale, di grande sviluppo tecnologico ed industriale ne sono risultati contaminati, al di là - è il caso di sottolinearlo - di ogni possibile immaginazione. La vecchia Europa, culla di civiltà, è risultata, se non culla, terra fertile per la mala pianta della corruzione. E peraltro ad ogni latitudine questa ha dimostrato di poter facilmente attecchire e proliferare, senza grandi distinzioni di aree geografiche, di regimi economici, di sistemi politici. Così, alle soglie del terzo millennio, la comunità internazionale degli Stati si trova a dover fare i conti con quello che costituisce un vero e proprio tumore della vita sociale, capace, in quanto tale, di condizionarla profondamente e di distorcerne il corso e le linee stessi di sviluppo.
E' dunque pienamente legittimo e - ancor più - doveroso lo specifico interesse che a livello internazionale si è sempre accentuato in ordine al fenomeno, così come pienamente fondata si delineano le crescenti ed allarmanti preoccupazioni al riguardo.
Occorre tuttavia sottolineare - ed il dato merita approfondita riflessione - che, per quanto la Comunità internazionale non abbia mancato, specie nell'ultimo quindicennio, di dedicare attenzione e studi al fenomeno della corruzione, questo tuttavia non ne è risultato sostanzialmente scalfito ed anzi ha continuato a diffondersi ed a fiorire.
E' il caso di ricordare che già nella risoluzione 3514 del 15 dicembre 1975 l'assemblea generale dell'ONU affrontò la questione del fenomeno della corruzione nelle transazioni commerciali internazionali. Tra le più recenti conferenze che hanno avuto ad oggetto il tema della corruzione, è utile richiamare la Conferenza ONU svoltasi all'Aja nel dicembre 1989, l'ottavo congresso ONU sulla prevenzione del crimine tenutosi a Cuba nell'agosto-settembre 1990, le conferenze internazionali anticorruzione di Washington (1983), New York (1985), Hong Kong (1987), Sidney (1989), Amsterdam (1992), Cancun (nov. 1993), Budapest (gen. 1994). L'elenco non è esaustivo e fornisce tuttavia ampia contezza di come non sia certo mancata in questi anni l'attenzione al fenomeno, ma siano purtroppo del tutto mancati i risultati positivi nell'attività di contrasto allo stesso, con il rischio gravissimo che si possa finire col considerarlo invincibile. Una sorta di male necessario, connaturato all'essenza stessa dell'uomo ed al suo modo di vivere e di operare all'interno di modelli sociali organizzati; una specie di prezzo immancabile, da pagare fatalmente sulla strada dello sviluppo delle società umane. Una conclusione siffatta risulterebbe devastante in sommo grado, talché non sarà mai troppo elevato il livello di guardia anticorruzione né eccessivo ogni grido d'allarme.
Le inchieste giudiziarie italiane degli ultimi anni si sono incaricate di svelare un ampio scenario, in cui la corruzione è risultata in specifico collegamento con il finanziamento illegale dei partiti politici, con il sistema dei grandi appalti di opere pubbliche, con ampi settori dell'alta finanza e del mondo industriale.
E peraltro le tante indagini giudiziarie in corso in vari Paesi appaiono dimostrare - anche limitandosi alla sola Europa - come il fenomeno, lungi dall'essere appannaggio della società italiana, sia purtroppo largamente diffuso, con connotazioni più o meno similari e con una ramificazione ed un radicamento profondi.
Quel che preme sottolineare è la circostanza che nelle aree geografiche a maggiore insediamento di criminalità organizzata la corruzione si presenta con caratteristiche più specifiche ed allarmanti. Ed invero, mentre non tutto ciò che è corruzione è criminalità organizzata, al contrario, là dove c'è criminalità organizzata c'è sempre attività di corruzione connessa.
Ed infatti è peculiarità assoluta delle organizzazioni mafiose e di stampo mafioso il ricorso sistematico, oltre che alla violenza, all'azione corruttiva.
E' opportuno rimarcare come sia proprio dell'impresa criminale scoraggiare la concorrente, mirando a costituire posizioni di rendita nella produzione illegale di beni o servizi, ovvero posizioni dominanti nei mercati legali. Ciò deriva dallo strumento stesso al quale l'imprenditore di origine criminale ricorre sia per l'organizzazione interna che per la sua azione nel mercato: una sorta di autorità fondata sulla capacità di esercitare intimidazione e corruzione. Per l'impresa criminale l'impatto sull'economia legale è parte integrante della propria attività, anche quando questa è di natura propriamente illegale.
L'autorità che l'impresa criminale deve esercitare per estrarre profitti dallo spaccio della droga, dall'accesso esclusivo o privilegiato agli appalti pubblici, dall'estorsione, deve essere piena, studiandosi di assomigliare in qualche modo a quella propria dello Stato. Ciò è particolarmente vero quando - è il caso delle associazioni mafiose - vi è una specifica ambizione dell'impresa criminale ad assumere connotazioni simil-statuali: a "proteggere" attività illegittime e legittime da violenze proprie o di terzi, a tutelare l'ordine pubblico da rapimenti o delinquenza minore, a fare da intermediaria nella riscossione e nella ricontrattazione di crediti, a procurare lavoro, licenze, pensioni. Questa tendenza si manifesta in modo particolare laddove lo Stato, che dovrebbe avere il monopolio della forza repressiva, è debole e dove la cultura delle istituzioni è poco sviluppata o addirittura assente: laddove, in sostanza, esistono le condizioni ideali per il fiorire della corruzione, cui la criminalità organizzata fa massiccio ricorso.
Un altro aspetto peculiare dell'impatto dell'impresa criminale sull'economia legale va ricondotto ai molteplici fattori che sospingono l'impresa criminale ad acquisire forme di dominio sulle attività legali. In primo luogo, l'accumulazione di vasti capitali attraverso attività legali richiede la ricerca di modalità appropriate di riciclaggio e, al tempo stesso, offre l'opportunità di realizzare profitti extra, acquisendo imprese o manipolando i prezzi dei prodotti sul mercato: sarà conveniente o possibile reinvestire nelle attività illegali solo una parte delle disponibilità acquisite.
Allo stesso risultato può spingere la capacità dell'impresa criminale di alterare l'evoluzione del mercato, mettendo in campo il proprio potere di esercitare violenza e corruzione. L'espansione dell'area di controllo è, infine, quasi una necessità per organizzazioni che fondano la propria forza sul mantenimento di condizioni di intimidazione e di assoggettamento. Non è un caso che l'acquisizione del "controllo di attività economiche, di concessioni, di autorizzazioni, appalti e servizi pubblici" sia la principale finalità che la legge italiana attribuisce all'associazione di tipo mafioso nella norma del codice penale che punisce tale reato.
Le modalità con cui l'impresa criminale influenza l'economia legale producono gravi effetti sul benessere economico di una nazione: il venire meno dell'unicità o dei vantaggi di concentrazione delle funzioni statuali di tutela dell'ordine pubblico, dei contratti e della proprietà, il modo distorto - poiché volto a consolidare ed estendere i legami associativi su cui si fonda la stessa impresa criminale - con cui queste funzioni vengono svolte; l'incertezza sulla validità delle regole; il degrado degli stessi servizi pubblici (trasporto, servizi sanitari, gestione degli atti amministrativi e cosi via); il rapido decadimento, con l'avanzare della corruzione, di valori fondamentali come il senso dello Stato e delle Istituzioni.
Requisito preliminare di un'azione di contrasto del fenomeno della corruzione - funzionale o meno alla criminalità organizzata - è che lo Stato svolga in modo corretto ed efficace le proprie funzioni ordinarie. Ciò è particolarmente vero per quelle funzioni che più da vicino riguardano i punti di congiunzione fra economia legale e illegale: la funzione fiscale; quella di gestore delle aziende a partecipazione statale; quella di appaltatore di lavori pubblici.
E' difficilmente contestabile che parte integrante dell'attività delle imprese criminali consista nel disegno di acquisire posizioni di dominio nei mercati del prodotto, del lavoro, della proprietà e della finanza. Ne deriva che le imprese criminali possono essere validamente contrastate da un'azione amministrativa ordinaria di tutela della libertà d'iniziativa in quei mercati. Proprio la consapevolezza che il tentativo di monopolizzare mercati legali del prodotto o del lavoro, della proprietà o della finanza verrà quotidianamente contrastato e che l'esclusione dal mercato di altri operatori e la realizzazione di transazioni a prezzi anomali saranno individuati - e potranno conseguentemente dare il via a indagini amministrative, oltre che penali - può disincentivare gli imprenditori di origine criminale dal persistere nelle loro pratiche.
Le considerazioni fin qui svolte dimostrano che esistono rilevanti rapporti economici e finanziari fra economia legale ed economia criminale, intesa quest'ultima sia come attività criminale in senso stretto sia come attività legale-criminale. Si pone, di conseguenza, l'esigenza di inquadrare accuratamente i comportamenti degli operatori legali. Il richiamo a codici di comportamento degli imprenditori e dei professionisti è stato ripetutamente evocato in molte sedi autorevoli e certamente tali codici hanno un valore e un significato morale ben precisi e rappresentano un segnale che tende ad accentuare il divario fra le regole vigenti nel settore legale rispetto alle regole ed ai comportamenti dell'economia criminale.
Primario elemento di questo diverso comportamento è quello di valorizzare al massimo la informazione e la trasparenza. Se l'economia criminale si sviluppa nella ignoranza e nella disinformazione, l'economia legale deve incentrare la propria operatività sull'informazione: naturalmente occorre che tutti si comportino secondo questo ordine per evitare che vi siano i "profittatori" legali, basantisi sulla asimmetria dell'informazione. L'argomento tocca direttamente il cuore del corretto funzionamento dei mercati ed il ruolo delle autorità che debbono garantire la correttezza e completezza informativa.
Il discorso potrebbe essere ulteriormente sviluppato ed articolato, se non occorresse a questo punto tirarne le fila ai fini che interessano nella nostra sede.
S'è visto, infatti, quali e quante difficoltà d'intelligenza e di operatività comporti una efficace lotta alla criminalità organizzata e quale valenza e spessore rivesta in tale contesto il fenomeno della corruzione. E s'è sottolineata la crescente connotazione di transnazionalità che criminalità organizzata e corruzione rivelano sempre di più.
Quella della transnazionalità delle organizzazioni delinquenziali non è una categoria concettuale frutto di una mera teorizzazione all'insegna della ragione, bensì una precisa connotazione concreta che le molteplici esperienze acquisite si incaricano costantemente di mettere in evidenza.
I traffici più lucrosi della criminalità organizzata presentano dimensioni, impostazioni e modalità operative tali da implicare necessariamente un'articolazione transnazionale. Ne deriva fatalmente che le varie associazioni criminose nazionali debbano, per così dire, produrre metastasi negli Stati attraverso i quali tali traffici passano e si sviluppano; debbano, in sostanza, estendersi, ramificarsi, "clonarsi" a livello internazionale ovvero debbano, quanto meno, collegarsi intimamente e stabilire strette connessioni con le organizzazioni delinquenziali degli altri paesi interessati ai traffici in questione. Si verifica così un reciproco mutarsi delle varie mafie e non di rado si producono anche delle "mutazioni genetiche" a seguito del trapianto da una ad altra latitudine, da uno ad altro Stato: circostanze che rendono ancor più difficile l'inquadramento del fenomeno e la lotta contro di esso. Ma è così che, nel tempo, la mafia siciliana si traduce nella mafia statunitense o canadese, la 'ndrangheta calabrese si connette a forme di crimine organizzato australiano, la mafia turca estende le sue propaggini all'Italia, la mafia colombiana si proietta in territorio americano, la mafia giapponese e quella cinese si ramificano in tutta l'Asia ma non disdegnano certo le altre aree geografiche, le mafie russe e dell'Est europeo si affacciano minacciose al proscenio dell'Occidente.
Tutto ciò ha un solo e preciso nome, un significato unico ed inequivocabile: si chiama "transnazionalità" del crimine organizzato. Nessun paese può ritenersi ragionevolmente al sicuro e quasi tutti, del resto, finiscono con l'essere al contempo importatori ed esportatori di criminalità organizzata.
Torna, dunque, prepotente il motivo, già più volte rimarcato, dell'esigenza di una efficace cooperazione degli Stati per fronteggiare questo nemico feroce, cui dovrebbero essere inviati chiari segnali dell'esistenza di una comune determinazione a volontà di lotta.
Un messaggio particolarmente eloquente sarebbe rappresentato, a mio avviso, dal raggiungimento di intese concrete volte a promuovere forme di collaborazione tali da consentire, per una serie pur inizialmente limitata di reati di criminalità organizzata, l'esecuzione quanto mai sollecita a livello internazionale di talune attività investigative, la cui efficacia è direttamente proporzionale alla rapidità di attuazione. Il riferimento più facile è quello alle intercettazioni telefoniche od ambientali e alle perquisizioni, ma indubbiamente il discorso è agevolmente sviluppabile ed estensibile. Non penso ovviamente ad una valenza internazionale sic et simpliciter conferita a determinati atti né sottovaluto i delicati profili relativi alla sovranità ed autonomia di ciascun ordinamento. Pure, sono persuaso che, se il carattere transnazionale del crimine organizzato non è un luogo comune ma una terribile realtà, sia necessario adeguare il livello e la qualità dell'azione di contrasto, e per far ciò occorre anche sacrificare qualcosa in termini di più o meno puntigliosa custodia da parte di ciascuno Stato delle proprie prerogative nazionali. Occorre dare una effettiva connotazione di transnazionalità alla lotta contro una criminalità organizzata transnazionale, ma bisogna che tale connotazione sia concretamente operativa e non meramente dichiarativa o, peggio ancora, declamativa. Se si formano adeguate volontà in tale direzione, l'individuazione degli schemi tecnici del caso non costituirà certamente un problema. E credo che occasioni come quella odierna, in cui si possono mettere a confronto esperienze importanti di diversi Paesi, possano contribuire non poco a creare le condizioni per la formazione di tali volontà adeguate.
Sarebbe, d'altronde, davvero irrazionale e deprimente in sommo grado - mi sia consentito sottolinearlo in questa sede - che in una Unione Europea in cui si aboliscono le frontiere e si marcia verso l'obiettivo dell'unificazione monetaria non ci fosse sufficiente spazio per una effettiva unità, non solo di intenti ma anche di risorse, di strumenti, di modalità operative, sul fronte della lotta comune alle forme più insidiose di criminalità annidate nel tessuto sociale della collettività.